BIOGRAFIA
Sofia Caesar (1989) è un’artista di Rio de Janeiro, Brasile, attualmente residente a Bruxelles.
Radicato nelle pratiche di danza e nelle terapie somatiche, il lavoro di Caesar evoca stati fisici tra attività e passività, lavoro e riposo, movimento e pausa. Lavorando principalmente con il video, utilizza la danza e la somatica per proporre relazioni tra il corpo e i dispositivi tecnologici della vita quotidiana. Riconoscendo gli effetti profondi della tecnologia sui nostri corpi e sulle nostre menti, nonché le pretese materiali della produttività, le sue installazioni spesso richiamano l’immobilità, la lentezza e il riposo. La sua pratica abbraccia il rapporto tra le avanguardie latino-americane, il ruolo dell’artista contemporaneo e l’estetica del tempo libero utilizzata dalle aziende tecnologiche internazionali.
Negli ultimi anni Caesar ha esposto lavori e collaborato con istituzioni come Transmediale (DE), Bienal Sur, Moscow Biennial (RUS), M HKA (BE), SFMOMA (USA), A Tale of a Tub (NL), Tomie Ohtake Institute (BR), ISELP (BE), Contour Biennial (BE), Beursschouwburg (BE), CAVEAT/Jubilee (BE) e altre organizzazioni in Belgio e nel mondo. Nel 2018 Caesar è stata insignita del Premio Rumos Itaú Cultural (BR) e di una borsa di studio completa per proseguire il suo dottorato di ricerca e insegnamento alla Luca School of Arts di Bruxelles (BE). Sofia è rappresentata dalla galleria Cavalo (Rio de Janeiro, BR).
Le opere di Sofia Caesar sono presenti in collezioni pubbliche e private come FRAC Pays de la Loire, Parco d’Arte Vivente (IT), Jacques De La Beraudiere, MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Niteroi (BR), Itaú Cultural (BR) e altre.
OPERA ESPOSTA
Workation, 2019
Installazione: loop video 4 canali, suono stereo, schermi, laptop, smartphone, tappeto, seduta, dimensioni variabili.
L’opera esplora le forme gestuali e spaziali contenute nel termine workation, un neologismo di derivazione inglese che associa la parola “lavoro” (work), a quella di “vacanza” (vacation). Se lavorare in vacanza si presenta come un ossimoro, una breve ricerca su Google Images rivela invece una nuovo paesaggio produttivo: donne e uomini di classe media comodamente sdraiati su spiagge dalla sabbia bianca e dall’acqua cristallina che lavorano al computer mentre sorseggiano un cocktail ghiacciato. Le nuove tecnologie informatiche permettono ormai potenzialmente di svolgere le attività d’ufficio in qualsiasi luogo del mondo che disponga di una connessione internet veloce.
Durante la pandemia esplosa nel 2020 e l’accelerazione dello smart working, la workation si è trasformata in un desiderio di molti. Il lavoro di Caesar, realizzato nel 2019, invita a riflettere su diversi punti, tra cui la trasformazione delle nostre posture e dei nostri gesti in conseguenza a un differente approccio del corpo a certe tipologie di lavoro terziario. Ma è anche una riflessione su come abiteremo in futuro gli spazi urbani: se la workation dovesse estendersi a tutte le forme di lavoro che non prevedono la produzione di beni materiali o di servizi per i quali è necessaria una presenza corporea, ci troveremmo forse di fronte a città abitate esclusivamente da classi lavoratrici e da turisti? Le loro controparti sarebbero invece paradisi naturali invasi da smart workers?
Questo esercizio di pensiero ci porta a ragionare su quanto le trasformazioni dei modi di produzione del lavoro immateriale possano avere conseguenze fortemente materiali sulle nostre forme dell’abitare, spesso a una scala della quale non siamo immediatamente consapevoli.