BIOGRAFIA
Gelare Khoshgozaran (Teheran, 1986), artista non-disciplinare, porta avanti una ricerca che indaga le eredità della violenza imperiale manifestate nella guerra, nella militarizzazione e nei confini. Nelle sue opere utilizza la pellicola cinematografica e il video per proporre narrative periferiche che cercano di mettere in discussione le attuali definizioni di “casa”, nonché come mezzo per avvicinarsi a nuove concettualizzazioni sull’idea di “appartenenza”. Il suo lavoro è stato presentato internazionalmente in numerosi contesti espositivi e festivalieri, tra cui Delfina Foundation, Londra; EMPAC, Troy (NY); Hammer Museum, Los Angeles; Images Festival (Toronto); MASS MoCA, North Adams (MA); New Museum, New York. Ha studiato fotografia all’University of Arts di Teheran e presso l’University of Southern California. Insegna e svolge ricerca nel Dipartimento di Arti dell’University of California. È membro del comitato editoriale di X-TRA ed editor di MARCH. A journal of art and strategy.
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OPERA ESPOSTA
The Retreat, 2023
Film 16mm trasferito in video 4K, colore, suono
21:30 min
Il film è l’esito del “ritiro d’esilio” che l’artista ha condotto insieme a sette partecipanti, reclutati tramite un’open call indirizzata a persone il cui ritorno nel paese d’origine è impedito per cause politiche o per altre circostanze. Presso Monistrol-d’Allier, nel sud della Francia, il gruppo ha riflettuto collettivamente sulle relazioni tra salute mentale ed esperienza d’esilio o ricerca di asilo politico. Un punto di riferimento per l’organizzazione del ritiro è stata la vicina esperienza dell’ospedale psichiatrico di Saint-Alban-sur-Limagnole, dove negli anni Quaranta lo psichiatra catalano Francesc Tosquelles, in fuga dal regime di Franco, aveva avviato un’esperienza “anti-concentrazionista”, rompendo le gerarchie fra pazienti, medici e comunità locale, ma anche facendo sì che l’ospedale divenisse rifugio per perseguitati politici.
Nell’opera di Khoshgozaran, l’idea di ritiro apre alla possibilità di considerare l’esilio come uno spazio di solidarietà transnazionale, includendo la persona in esilio in quanto produttrice di conoscenza, disattivando quindi l’immagine che la rende una sorta di boogeyman.